Si racconta al settimanvale “Vanity Fair” Giorgio Panariello dopo l’improvvisa scomparsa di suo fratello Franco, racconta che la prima reazione è stata di rabbia, lui gli aveva raccontato di essere pulito da sei mesi, infatti, stava lavorando regolarmente come giardiniere. Poi è subentrato il dolore per quella morte assurda, per come era stato ritrovato, solo e senza vita nei giardinetti di Viareggio dopo un’overdose di eroina. Di promesse Giorgio Panariello ne aveva ricevute tante, inclusa quella di non bucarsi più. Coglie l’occasione per spronare i giornani a non fare uso di eroina, una piaga della società che non porta nessun beneficio, solo distruzione.
Dopo tanti anni di droga, Giorgio Paniariello era riuscito a convincere suo fratello ad entrare a San Patrignano dove era rimasto per sei anni, sembrava pulito, all’ennesima ricaduta era andato da Don Mazzi. Evidentemente non era cambiato niente. Ha saputo quanto era successo dall’amico Carlo Conti:
“La mattina del 27 mi sono svegliato, ho acceso il portatile, e ho visto che alle 8.30 mi aveva cercato Carlo Conti. Carlo aveva saputo di Franco da un’amica poliziotta di Viareggio che, non sapendo come rintracciarmi, aveva avvisato lui. Quando ho saputo, la mia prima reazione è stata di rabbia: Franco, giurandomi che aveva smesso per sempre, mi aveva preso per il culo ancora una volta. Questo ho pensato lì per lì, anche se poi l’autopsia ha confermato che, prima di quella sera, era stato davvero “pulito” per un lungo periodo. Rabbia, tanta rabbia. Solo dopo è arrivato il dolore. E i ricordi”.
Separati dalla nascita, Giorgio Panariello viveva dai nonni materni, che non se la sentivano di prendere a loro carico anche suo fratello che era finito in collegio. Anni in cui ha accumulato tanta rabbia, proprio questa lo aveva portato su una strada sbagliata. Senza una famiglia alle spalle, un padre mai conosciuto e quel rancore covato per tanti anni, ha vissuto una vita allo sbaraglio, ma gli è anche stata l’opportunità di uscirne:
“La prima volta che ci siamo visti, nel 1972. Io avevo dodici anni, lui undici. Fino ad allora non avevo mai saputo della sua esistenza. Quando mia madre mi aveva abbandonato, ero andato a stare dai nonni materni, che in casa avevano altri cinque figli. Quando era nato Franco, invece, i nonni non se l’erano sentita di accoglierlo, e lui era finito in collegio. Solo alla fine delle elementari venne a stare da noi. E io scoprii di avere un fratello.
L’intervistatore gli chiede che cosa avrebbe fatto Giorgio Panariello se fosse toccata a lui quella sorte, una risposte quasi scontata in tutta la sua amarezza:
“Forse avrei fatto la sua stessa vita, e oggi a parlare con lei ci sarebbe Franco. O forse no, non lo so. C’è poco da dire: io sono stato fortunato, lui sfortunatissimo”.